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Psicologia, filosofia e counseling

EinsteinCecilia ha scritto: Ciao Pier, sono Cecilia, di Napoli, ho quasi ventisette anni e sono anche io un counselor filosofico. Sono interessata alla tua personale visione del counseling filosofico, dato che, come sai, ancora non esiste una vera e propria definizione, riconosciuta.

 
Un abbraccio,
Cecilia

Pier ha risposto: iao Cecilia, come prima cosa vorrei dirti che non sono un counselor filosofico. Sono semplicemente una persona che ha studiato counseling filosofico. La mia sottolineatura cade sulla parola “essere”. So che magari tu la stai usando unicamente per abitudine di linguaggio, ma questo ci fa capire quanto la nostra cultura cerchi di appiccicare definizioni alle persone, e quanto le persone amino essere definite. Io sono il primario del tal ospedale, sono un insegnante, un filosofo, un camionista… Tutti sono qualcosa, tutti vogliono essere qualcosa, e non appena qualcuno, volontariamente o involontariamente, attacca l’etichetta che ci siamo appiccicati in fronte, ecco che subito la nostra identità va in crisi e inizia a lottare. Non dico che questo sia il tuo caso, ma credo che anche tu abbia notato quanto sia comune questo fenomeno. Io stesso ne sono stato colpito più volte, ma ora ho imparato la lezione! Io sono un essere vivo, cosciente, pensante e sempre in divenire. Non sono il ruolo che svolgo o la cultura che ho acquisito. Mi sono laureato in filosofia, ma non sono un filosofo, ho un diploma in counseling, ma non sono un counselor, lavoro come educatore, ma non sono un educatore, tormento me stesso e gli atri con le mie parole, ma non sono un tormentatore.

A volte mi piace pensare, però, che ogni essere umano è filosofo, perché la peculiarità che riconosco alla filosofia è la continua indagine e messa in discussione d’ogni dogma, e questa caratteristica credo sia anche l’essenza stessa della natura umana, chi più chi meno, ma ci accomuna tutti. Se siamo disposti a condividere questo, allora a me sta bene: sono un filosofo. Ma ciò deve valere per tutti, poiché quel che è parte dell’Essere non può non essere anche parte d’ogni altra creatura, considerando che per me l’Essere è il fondamento di tutto e ogni cosa!

Il male e l’errore nascono, infatti, quando “infettiamo” la percezione dell’Essere, che ci accomuna tutti, con caratteristiche mutevoli del mondo fisico. Identificandoci a cose mutevoli e non essenziali in noi torna a prendere il sopravvento l’istinto animale più arcaico manifestandosi entro logiche di appartenenza ad un gruppo, un clan, una nazione, una razza o quant’altro.

Con il tempo, mi sono poi accorto che questa infezione non risparmia nemmeno la maggioranza di coloro che si reputano filosofi o psicologi. Nel mio immaginario d’una volta, filosofi e psicologi dovevano essere per antonomasia le due tipologie di persone meno suscettibili all’immedesimazione di un ruolo, perché ritenevo che tali figure dovessero avere come unico loro obbiettivo la realizzazione di dimensioni quali: la libertà, l’equilibrio interiore, la verità e il bene comune.

L’esperienza, ahimè, mi ha portato a constatare che anche costoro, come la quasi totalità delle persone, sono mossi prevalentemente dal bisogno di rifugiarsi entro le mura di un solida definizione identitaria rispettata e ben tutelata dalle istituzioni. Quante volte ho sentito qualcuno parlare magistralmente di libertà ed equilibrio, salvo poi vederlo rispondere con astio e arroganza a domande che andavano anche solo vagamente a mettere in dubbio le sue affermazioni. Studiamo per anni, poi un’istituzione ci riconosce come suoi membri, iniziamo così a sentirci in qualche modo parte di un gruppo che ci dà una definizione, una sorta di protezione e legittimità. Per fare un esempio, Socrate non sapeva d’essere un filosofo, andava semplicemente in giro per la sua Atene a confrontarsi con le persone, per porsi e porli al vaglio del logos. Cercava unicamente la “verità”, il bene, l’equilibrio. Noi oggi creiamo stampini di Socrate. Le nostre università ci timbrano su un figlio il nostro diritto ad essere chiamati filosofi, ma su quali basi possiamo dire chi è filosofo o meno. La filosofia non è come la medicina o la fisica; la filosofia, per antonomasia, è l’attività di ricerca prima ed ultima dell’uomo, che sempre mette in gioco l’intera sua esistenza e conoscenza. La filosofia, se praticata sinceramente, dal mio punto di vista, è il mezzo più eccelso attraverso cui pervenire alla liberazione dell’anima. Ma ciò che si fa nelle nostre università non è filosofia, semmai e storia della filosofia. Ci fanno imparare cosa sostenevano i filosofi del passato. Nelle nostre scuole e università si sta uccidendo il vero pensiero filosofico attraverso la catalogazione, la “manualizzazione”, la storicizzazione degli sforzi compiuti da chi veramente perseguiva il “vero”. I manuali di filosofia andrebbero bruciati, o per non cadere in atteggiamenti nazisti, andrebbero unicamente usati come si usa un elenco telefonico. Apro l’elenco per trovare il numero di telefono di un amico, ma non reputo sufficiente sapere il numero telefonico di una persona per poter dire di conoscere quella persona. Ecco, i manuali di filosofia o psicologia non sono nulla più che elenchi telefonici!!

Ma le nostre scuole non hanno più il tempo per comprendere sino in fondo l’opera di un ricercatore. Le nostre università sono divenute unicamente luoghi di informazione, che non sanno più distinguere la differenza che intercorre fra l’informare e lo sperimentare per apprendere. Einstein, che non pare fosse proprio uno stupido disse: “Imparare è un'esperienza; tutto il resto è solo informazione”. Gli esami, poi, sono un insulto al senso stesso delle discipline umanistiche. Andiamo a scuola o all’università unicamente per memorizzare informazioni, per divenire pappagalli da sfoggio culturale. L’erudizione è sterile senza il vaglio dell’esperienza, senza la continua prova e messa in discussione della solidità del nostro sentire e pensare attraverso il fare, vivere e sentire. Non è un caso che Platone, Aristotele, Pitagora, Ippocrate e molti altri, avessero fondato accademie, comunità di ricerca, scuole di vita, luoghi dove le persone, attraverso il continuo confronto, dialogo ed esercizio potevano rendere le loro esistenze prova tangibile della veridicità della loro filosofia, siano a quando, definitivamente radicate in una nuova dimensione dell’essere, sarebbero state in grado di portare la loro comunità spirituale ovunque esse andassero, perché esse stesse divenute la casa della loro anima.

La ricerca del bene, dell’equilibrio, del vero, del significato ultimo dell’esistenza, non sono una questione di voti universitari, di titoli, di erudizione, di memoria, di accumulazione di nozioni filosofico psicologiche, ma sono confronto e sperimentazione continui. Chi parla magnificamente di Eraclito, Parmenide, Socrate, Plotino, della libertà dell’anima, dell’imperturbabilità o altro, ma poi, nella sua pratica quotidiana di vita mostra gelosie, invidie, paure e megalomanie varie è prova del fallimento della sua filosofia.

Cara Cecilia, non credo esistano i filosofi, gli psicologi, i pedagogisti, o altro, ma vi sono unicamente persone che ricercano senza sosta la verità del loro Essere, il loro bene e quello altrui, ma tale ricerca non giunge mai ad una fine, non perviene mai ad una meta dove qualcuno si può sedere e mettersi al collo l’etichetta di filosofo o altro. Nella mia visione delle cose devo poi ammettere di trovare profondamente sciocca e controproducente la divisione che è stata imposta a discipline come la filosofia, la psicologia, la pedagogia e l’antropologia. Come se la mente umana fosse fatta a scomparti! Ma questa è un’altra storia che magari discuteremo un’altra volta.

Andando ora al cuore della tua domanda, fra le mille discipline esistenti ora ne abbiamo aggiunta un’altra: il counseling filosofico. V’è poi da dire che il Counseling non è solo filosofico ma si distingue a sua volta in cento altre forme d’intervento. È cosa ovvia che non vi sia un concetto condiviso di Counseling dato che sembra esistere una definizione di counseling quanti sono i praticanti di questa disciplina. Il Counseling filosofico, poi, giace in una condizione ben peggiore o migliore, a scenda della prospettiva dalla quale si giudica, per il semplice motivo che il Counseling filosofico si fonda su 2500 anni di filosofia, e non credo esista persona capace di dare una definizione univoca della disciplina filosofica. Ogni filosofo è una cosa a sé. È vero che ogni pensiero filosofico dialoga con tutti gli altri, questo è lo statuto su cui si fonda ogni vera forma di ricerca, ma poi, ogni ricercatore, se è veramente tale, giunge a delineare una sua visone ultima delle cose e delle peculiari forme di ascesi. Ciò non significa che ogni ricercatore giunga a conclusioni diverse, anzi, ciò significa spesso che l’animo umano è talmente vasto e indefinibile da poter accogliere in se mille sentieri e mille visoni che, nella loro apparente opposizione, più si dilatano e più coincidono.

Ora, nello specifico, per quanto riguarda il Counseling filosofico, devo ammettere che dopo tre anni di studi e un numero imprecisato di conferenze e convegni, non ho ancora ben capito cosa sia. Forse perché sono un po’ tonto, o forse perché non è nulla di nuovo, se non un’ennesima ridefinizione e frammentazione del globale pensiero di ricerca filosofica.

La tua domanda potrebbe pertanto necessitare di una risposta molto complessa, son infatti stati scritti già molti libri in proposito, ma non mi pare che si sia giunti a nulla, forse perché l’obbiettivo di tutto ciò era ed è scrivere molti libri per vendere un po’ di copie. Potrei risponderti analizzando e comparando il pensiero di Achenbach, Lou Marinoff, Ran Lahav o altri, ma non credo sia il caso, altrimenti mi ci vorrebbe un anno, ottenendo magari l’ennesimo libro erudito, confusionario e inconcludente, oltre al fatto di non essere quasi mai riuscito a terminare la lettura di molte opere di questi autori, poiché le ho sempre avvertite come una specie di bignami psicofilosofico , e ho sempre ritenuto che i testi originali di Socrate, Nietzsche, Freud, Jung o compagnia bella, sappiano spiegare meglio il loro pensiero di qualunque altro interprete.

Per rispondere definitivamente alla tua domanda seguirò quindi una via semplice breve, forse rozza e incompetente, ma almeno è la mia via. La psicologia ha spodestato completamente la filosofia dal campo delle pratiche d’aiuto con il suo aver reso tutto patologia e terapia. Bisogna dire che anche la filosofia ha dato una buona mano a questo processo, divenendo chiacchiera intellettuale per accademici. Dalla comprensione di questo fatto molti ricercatori si sono resi conto che il concetto di patologia ha totalmente appiattito la dimensione spirituale della coscienza umana, portando, dopo più di cento anni di medicalizzazione dell’anima, a ben poche soluzioni reali. Ecco allora che è tornato necessario ripensare anche all’evoluzione dello spirito oltre che alle cure dell’involuzione della psiche. Ma chi si può occupare dell’evoluzione, della crescita e della riappropriazione della dimensione spirituale dell’uomo? La chiesa? La filosofia, che da qualche secolo sta imputridendo in aule accademiche. Che fare allora? Ecco che il counseling trova un suo significato e un suo scopo. V’è solo un problema in tutto questo: il counseling, non solo filosofico, mi sembra unicamente un riproponimento più agile e seducente dei medesimi concetti fallimentari che stanno alla base della concezione psico-filosofica dell’ultimo secolo. Con questo non voglio dire che non serva a nulla seguire una scuola di counseling, considerando che per mia esperienza, ora come ora credo che queste “nuove” discipline siano una fucina di sperimentazione ben più libera, giovane e dotata di potenzialità di molte università. Quel che auspico maggiormente è infatti una modifica del nostro sistema universitario. L’Italia non sa quasi minimamente cosa sia un campus studentesco. I nostri studenti frequentano da pendolari le lezioni di baroni universitari, che fanno i loro 45 minuti di lezione, tre volte a settimana, pagati in modo sconsiderato, per poi svanire nel nulla. Abbiamo sedi studentesche fatiscenti, trasporti simili a tir per trasporto animali, facoltà costruite ai margini di rotatorie , stazioni ferroviarie e statali. Come si fa a non capire che il luogo e le forme attraverso cui si veicolano le conoscenze sono tanto importanti quanto i contenuti del sapere? Come si fa a non comprendere che Platone e Aristotele avevano fondato delle accademie perché avevano ben compreso che la ricerca, psicologica o scientifica che sia, necessita di luoghi ove studenti e professori possono vivere a stretto contatto, in un clima familiare, per esercitare quell’indispensabile “sfregamento dei concetti che porta al disvelamento della verità, al sua brillare”, come lo stesso Platone scriveva nella sua lettera VII?

La ricerca dell’uomo sull’uomo, dal mio punto di vista, dovrebbe convergere in un'unica forma di sperimentazione e discussione multidisciplinare, riportata all’interno di vere e proprie accademie, e smettere di scindersi in tanti rivoletti che non raggiungeranno mai l’oceano.

 
Un abbraccio,
Pier


Tags: Psicologia

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Commenti   

# Cecilia 2009-03-05 17:16
Grazie Dadrim per la risposta, che mi trovo a condividere.
Ero curiosa di sapere se pratichi la "professione" di counselor filosofico,
e come. In un certo senso lo fai già, a tuo modo, con questo blog :-)

un abbraccio

C.
+2 # pierluigi 2010-08-25 10:00
é attraverso la semplice scrittura che fai traspirare quell'essenza che ti guida...la semplicità,la libertà,l'umilt à..pensieri,att itudini..vision i,modi d'osservare e vivere le cose..è questo ciò che vedo attraverso il tuo scritto.In un mondo dove le persone sono portate a volersi assolutamente definire(sono ciò che faccio:medico,s pazzino ecc..) per sentirsi qualcosa..quest 'umiltà e freschezza non ha posto dove sbocciare..in un luogo come questo,dove il prevalere su gli altri è obbligatorio,do ve la "superiorità cartacea" cancella la possibilità del umile dialogo..poche ricerche del vero sono possibili..fors e perchè è proprio colui che si spodesta del proprio "io sociale" della propria etichetta che manca..spesso sono i giovani coloro che più ne avrebbero bisogno di queste persone..e sempre più spesso questi stessi giovani si ritrovano fra mura domestiche sazie di persone catalogate,fasc icolate,schiavi zzate da loro stesse..perchè è la libertà, colei che in questa società genera maggior paura.
Grazie.

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