Il divino non è conoscibile
Pier: Cercare di liberare chi è caduto nel labirinto dei propri pensieri usando la logica e la ragione è come cercare di liberare un uomo legato con delle corde usando ago e filo. Ciò che serve in questi casi è unicamente il coltello!
La più grande scoperta che il pensiero può fare sulla realtà umana è comprendere che esso non è la porta attraverso cui possiamo passare per giungere alla “radura dell’essere”. Il pensiero può essere solo un veicolo che utilizziamo per una certa parte del tragitto, sino a quando comprendiamo che è esso stesso a creare e alimentare la prigione entro cui vive la nostra coscienza. È paradossale, lo so, ma le cose stanno così: l’uomo indaga il mondo e se stesso attraverso il pensiero, ma è proprio il pensiero che gli impedisce di entrare in contatto con la propria realtà interiore, allo stesso tempo, però, è anche sempre e solo il pensiero che lo può incamminare verso quella realtà.
Per vedere la verità di questo fatto dobbiamo comprendere come opera il nostro pensiero, dobbiamo osservarci in continuazione per cogliere tutti i fenomeni che accadono quando la nostra mente elabora, interpreta e legge l’esistenza. Come dice Haiddeger : "La realtà di cui Noi parliamo non è mai una realtà "a priori", ma una realtà conosciuta e creata da Noi". Questo è assolutamente vero! Noi non conosciamo nulla per quello che è, ma unicamente per come noi lo percepiamo e pensiamo.
Ora, chiedersi come sia realmente ciò che esiste, al di là del nostro modo di conoscere, è una di quelle tipiche “domande vuote” che può partorire unicamente il nostro intelletto, per il semplice motivo che esso si muove slegato da un sostrato unitario e organico. Cerco di spiegarmi meglio. Il pensiero opera attraverso la frammentazione del corpo indiviso dell’esistenza. Il pensiero divide il tutto attraverso la registrazione, in forma verbale e di pensiero, degli stimoli che il nostro organismo subisce quando entra in relazione con l’accadere dei fenomeni quotidiani. Ecco però che già dire "l’accadere dei fenomeni quotidiani" è una frammentazione bella e buona del nostro pensiero.
Se ci pensiamo, infatti, tutto ciò che viviamo ogni giorno della nostra vita, non è mai l’accadere di vari eventi e fenomeni, ma un continuo accadere dell’evento "vita", del fenomeno "esistenza". Siamo solo noi, attraverso il nostro pensiero, a fermare alcuni eventi, a registrare unicamente certe esperienze, a cogliere sempre singoli frammenti, ma se, per un istante dovessimo osservare l’effettivo movimento delle cose, vedremmo che il nostro organismo, ma ancor più la nostra coscienza, esistono in una continua relazione unitaria con l’esistenza. Il nostro respiro si muove fluido, indivisibile, come il nostro battito cardiaco, il nostro vedere, il nostro ascoltare, il nostro toccare e, cosa più importante, il nostro essere sempre colui che sperimenta tutto ciò che avviene.
Il nostro corpo è totalmente coinvolto nell’accadere di quel “tutto organico” che è la vita. È sempre e solo il nostro pensiero che può muoversi slegato da ciò che sempre esiste e accade nel “qui e ora”. Solo il pensiero, che altro non è se non memoria, può attardarsi sullo ieri, può volare verso un domani che mai sarà come pensato, può generare scienza, può scrivere leggi che collimano con segmenti di realtà. È solo la mente, attraverso il pensiero, che può chiedersi come esiste il mondo che vive al di là della mente, proprio perché la mente è uno strumento frammentario. Ma se esiste un qualche cosa di divino, quel qualcosa non potrà certo rientrare entro gli schemi di un fenomeno limitato e limitante come il nostro pensiero. Ecco allora che chi cerca di comprendere il divino compie un’azione fallimentare a priori. Sarebbe come cercare di raccogliere l’oceano con le mani. Il divino non è un qualcosa che possa essere conosciuto, proprio perché la sua realtà comprende e si estende oltre l’attività conoscitiva del pensiero.
L’unica cosa che il pensiero può fare è comprendere come esso stesso opera, e quando giunge alla comprensione della propria finitudine e impotenza nei confronti dell’immensità della vita, può auto-sospendersi. Quando il pensiero cade, solo allora la nostra coscienza è in grado di riconnettersi al flusso costante degli eventi, esperendo così un senso di appartenenza viscerale e totale alla vita. Tale esperienza però non ha nulla a che vedere con le logiche del pensiero, ne con le percezioni derivanti dal nostro organismo, ma è un accadimento profondo, tutto interno al nucleo più segreto dell’animo umano, quel nucleo che racchiude l’essenza stessa della vita, quel nucleo che è la reale identità che si nasconde dietro ogni nostro sentire, agire e pensare. Il divino, dal mio punto di vista, può unicamente essere un qualcosa che si può sperimentare, vivere, sentire, di momento in momento, ma mai e poi mai capire!
Ho studiato per anni le varie scuole psicologiche e filosofiche, mi sono pure laureato in filosofia, ma ogni giorno che passava sentivo che la maggior parte di tutto quel che apprendevo, invece di avvicinarmi alla pace, all’equilibrio e alla realtà della vita, mi allontanava sempre più dall'esistenza, facendomi divenire sempre più rigido, arrogante e saccente. Dal vedere tutto ciò, lentamente, ho compreso i limiti e i pericoli del “pensiero”. Ora non voglio più capire nulla o ricercare un dio o una verità che sarebbero sicuramente e unicamente il parto della mia piccola e impaurita mente o della mente di qualche individuo ritenuto saggio. In questo lento abbandono sento che è la vita stessa a venirmi a cercare, a volermi parlare e volersi raccontare. Ma questo suo confidarsi e disvelarsi non avviene mai attraverso parole, ma sempre e solo attraverso il silenzio.
È anche vero però che solo dopo aver pensato l'impensabile e ricercato l'impossibile la mente è pronta a deporre le sue armi. Chi non ricerca senza sosta, consumando completamente la propria ragione come il proprio dubbio, cade unicamente in cechi fideismi e convinzioni.
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