Eutanasia, libertà, gioia e rivoluzione
Linus ha scritto: Ciao Pier, vorrei sapere cosa pensi di coloro che scelgono di togliersi la vita perché malati gravemente e che sanno che fisicamente non potranno guarire? Personalmente sono convinta che noi esseri umani non siamo solo questo corpo di cui mi ritengo un ospite. Grata alla vita, certo, ma qualora questa esistenza dovesse divenire solo sofferenza fisica senza via d’uscita, senza la dignità di potermi occupare di me stessa nemmeno grazie ad una minima autonomia qual è l’alternativa? Ti ringrazio se vorrai condividere la tua visione in merito.
Linus
Pier ha risposto: Gentile Linus, perché in Italia v’è tutta questa resistenza ad accettare che una persona possa liberamente porre termine alla propria esistenza se incurabilmente malata? È giusto proibire l’eutanasia o il suicidio assistito o sarebbe più sensato renderli legali e ben normati?
La mia personalissima opinione è che nessun potere istituzionale dovrebbe intervenire coercitivamente o punitivamente nelle intime scelte che compiono persone che agiscono nel pieno delle loro facoltà cognitive, emotive e pertanto morali. Stigmatizzare un individuo o persino tentare di impedirgli con la forza di porre fine alla propria dimensione fisica, quando questa è percepita come inaccettabile o caduta in uno stato di progressivo deterioramento invalidante, doloroso e ineluttabilmente letale, lo trovo assurdo. Sono proprio questi i comportamenti che andrebbero vietati e sanzionati!
La paura che la morte esercita sulla maggior parte delle persone, spesso sane, unita a forti condizionamenti religiosi e culturali spinge la maggioranza di noi a non interessarsi o persino a rifiutare le istanze di chi realmente vive l’esperienza del dolore e della morte, qui ed ora. Apparentemente assurdo è che più di tutti siano spesso le istituzioni religiose ad opporsi all’eutanasia, proprio coloro che credono nella vita eterna. Ma se vi riflettiamo un po’ la contraddizione si spiega facilmente. Il cristianesimo, per esempio, ha mitizzato la Passione di Cristo per secoli se non millenni. Morbosamente la mente umana si è concentrata e identificata al dolore patito da Gesù sulla croce anziché identificarsi alla gioia della risurrezione o della sua stessa vita terrena (personalmente mi identificherei allo spirito delle nozze di Cana o alla gioia che aleggia nell’aria quando la folla ascolta rapita il sermone della montagna, ma quanto piace alla gente soffrire benché dica l’opposto?! ). Aver messo in croce un uomo che, al di là di ogni credo, è vissuto e morto come un agnello e una colomba fra i lupi deve aver innescato un letale senso di colpa sia in chi l’ha giustiziato che in chi non ha mosso un dito per difenderlo. Credo evidente che questa colpa viva ancora oggi facendo rileggere sempre con eccesso la fine a cui fu condannato e abbandonato Gesù, giungendo così persino ad offuscare quello che ritengo il vero nucleo del messaggio che quell’essere divino tentava di veicolare: libertà, gioia e rivoluzione.
E così, da colui che predicava la vita eterna e il superamento di ogni dolore, la storia ha saputo estrarre un particolare concentrato di colpa, paura ed espiazione. “Come Cristo soffrì sino alla fine anche noi cristiani nel dolore soffriremo sino all’ultima goccia di sangue per esser di lui degni, per farci perdonare”, questo sembra dire una grande parte della Chiesa, in particolar modo quella Cattolica.
Apparirò forse irriverente ma una giornata di torture e crocifissione di un uomo che "sentiva" di essere figlio di Dio, di venire dalla Luce per tornare alla Luce e che dopo la morte corporale sarebbe asceso alla destra del Padre celeste, come può giustificare agli occhi e alle coscienze di molti suoi seguaci una vita intera di sofferenze di un individuo affetto da una grave malattia e che magari vive senza alcun sostegno interiore? Questa per me è un’errata interpretazione dei Vangeli mista ad arroganza e ignoranza. L’arroganza, nello specifico, tocca il suo apice quando un messaggio di speranza e di redenzione viene tramutato in una personale interpretazione da imporre ad ogni individuo nel momento più intimo e delicato delle sue scelte e volontà esistenziali. La cosa ricorda, in forma sicuramente più morbida, diciamo “all’europea addolcita”, ma non meno differente nella sostanza, l’approccio cieco e violento che imputiamo ad un certo Islam integralista. Costringiamo persone malate a soffrire e morire nella vergogna, spesso sole e indigenti, o magari assistite da famigliari che colmi di dolore, qualora fossero disposti per un estremo atto d’amore ad accompagnarle fra le braccia della morte, rischiano la galera avvolti dal puzzo del biasimo dei “savi”. Cos’è tutto ciò se non un abuso morale?
V’è poi da tenere altrettanto in considerazione la dittatura della “generazione lifting”. Hanno cinquanta, sessanta, settant’anni. Sono gelose/i dei propri figli ventenni, si vestono con jeans strappati, magliette all’ultima moda, si gonfiano le labbra, si aggiustano le rughe, si depilano come lombrichi, vorrebbero passare le estati a Copacabana, ma non per il mare, credono che la scienza li renderà eterni o perlomeno che il medico li riempirà di morfina come Mark Renton in Trainspotting.
Ti guardano confusi o irritati: “Eutanasia? Suicidio Assistito? Ma cosa sono? Le pubblicità non ne parlano! La morte? Ma dai, hai tempo per pensare a queste cose tristi? Sei preso proprio male!”
Come disse il loro Guru, per l’appunto, Mark Renton:
Ma almeno Renton usava vera Eroina, quella che nel giro di poco ti sa spiegare bene cos’è la morte e il dolore. Costoro hanno frainteso anche questo “messia” scambiando la vera eroina con una sostanza ancor più letale: l’immagine di sé. Brutta droga “l’immagine di Sé”! Non uccide il corpo ma solo l’anima generando degli Zombie rifatti… strafatti!
Cara Linus, la mia morte spero possa essere un dolce e personalissimo dialogo fra questa mente che ti scrive e l’anima che la sorregge. Un giorno son certo (se Trump e soci non distruggono tutto prima) che tutti gli Stati arriveranno a completare e promulgare un quadro legislativo appropriato alla dignità di ogni uomo, alcune nazioni vi sono già approdate. Per il momento possiamo far riflettere, condividere, indignarci, ma anche fregarcene altamente della legge e del biasimo dei “savi”.
Se verrà il giorno in cui sentirò esser doveroso sottrarre alla natura l’ultima fase del suo ciclo, giacché spesse volte questa non si armonizza minimamente alle istanze del suo padrone, la Coscienza, non mi ucciderò! Uccidere è una parola adatta a chi distrugge qualcosa con odio o fugge dalla vita per paura. Semplicemente spezzerò un po’ prima del tempo biologico quel filo sottile che congiunge la Coscienza alle forme della mente. E se dovrò farlo spero possa avvenire in piena libertà e pace poiché sarà la volontà della mia stessa Coscienza ad averlo chiesto, quel seme di intelligenza e amore che nel tempo ho compreso esser l’unica “voce” a cui le nostre ahimè spesso sorde e arroganti menti dovrebbero rispondere.
Un piccolo approfondimento prima di lasciarci definitivamente. Il tema del “fine vita” o “eutanasia” è molto complesso e vasto. Esistono infatti molte differenti azioni esercitabili sull’individuo o dall’individuo quando questo si viene a trovare in condizioni di salute definitivamente compromesse. Le azioni sono determinate da condizioni fisiche, etiche e quindi legislative differenti. Qui di seguito riporto un elenco dei molteplici casi a titolo esplicativo ma non esaustivo, giacché non sono un esperto in materia. Credo sia infatti necessario avere le idee un po’ più chiare in merito ad un argomento così tanto dibattuto a colpi di spot elettorali quanto poco discusso con calma, libertà di pensiero e riflessività.
Abbiamo dunque:
- l'eutanasia attiva diretta quando il decesso è provocato tramite la somministrazione di farmaci che inducono la morte
- l'eutanasia è passiva quando è provocata dall'interruzione o dall'omissione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza dell'individuo
- l'eutanasia volontaria quando segue la richiesta esplicita del soggetto, espressa essendo in grado di intendere e di volere oppure mediante il cosiddetto testamento biologico.
- l'eutanasia non-volontaria nei casi in cui non sia il soggetto stesso ad esprimere tale volontà ma un soggetto terzo designato (come nei casi di eutanasia infantile o nei casi di disabilità mentale).
- l'eutanasia involontaria quando è praticata contro la volontà del paziente.
- il suicidio assistito e cioè l'aiuto medico e amministrativo portato a un soggetto che ha deciso di morire tramite suicidio ma senza intervenire nella somministrazione delle sostanze.
- la terapia del dolore attraverso la somministrazione di farmaci analgesici, che possono condurre il malato ad una morte prematura, non è considerata una forma di eutanasia in quanto l'intenzione del medico è alleviare le sofferenze del paziente e non procurarne la morte.
- il rifiuto dell'accanimento terapeutico ove il medico, nei casi in cui la morte è imminente e inevitabile, è legittimato ad interrompere o rifiutare trattamenti gravosi per il malato e sproporzionati rispetto ai risultati che è lecito attendersi.
Nel mondo direi che attualmente prevale un’accettazione o regolamentazione dei punti 7 e 8, L’Italia ne è un esempio. La maggior parte delle nazioni è attualmente contraria ai restanti punti (1-2-3-4-5-6) anche se il dibattito negli ultimi anni è sempre più acceso e in movimento.
In Europa, continente maggiormente progressista in relazione a questo tema, per quel che so, la Svizzera e l’Olanda sono gli unici due paesi dove è regolamentato e praticato il punto 6, il suicidio assistito, un’azione che di fatto si traduce nella auto-somministrazione di un farmaco letale. Fondamentale è che il paziente sia nel pieno esercizio delle proprie facoltà cognitive ed emotive e capace di compiere l’ultimo gesto da solo. L'eutanasia passiva è consentita in Ungheria su richiesta del paziente. In Lussemburgo e in Belgio è legale l'eutanasia.
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